Testi

 

 

Baciatemi il culo, sono un ballerino (Belushi)

[testo]

"La vita di John Belushi racchiusa in una notte, l'ultima, composta da piu' scomparti. Il primo scomparto e' il punto di svolta: un provino sostenuto molti anni prima, da perfetto sconosciuto e che avrebbe segnato la sua vita in senso artistico e spettacolare.

.....E cosa sarebbe accaduto se John, cosciente del suo futuro, avesse avuto l'istinto di fallire il provino? Cosa ne sarebbe stato di John? Della sua esplosiva e trasgressiva verve? E del suo stesso tormento che lo condurra' alla morte in una notte qualsiasi in un residence di Los Angeles sotto un mix di coca ed eroina? Lo sliding doors di Belushi, surreale e atroce, apre comunque gli scenari della macchina stritola uomini dello stars system statunitense. E l'ultima beffa del geniale guitto, la sua riverenza finale, ha lo scopo di sottolineare, ancora una volta, la differenza fra lui ( inarrivabile e scandaloso anti giullare) ed il resto di un mondo conformista ed omologato: BACIATEMI IL CULO! SONO UN BALLERINO."

Andato in scena dal 4 al 5 ottobre, al Teatro Area Nord di Napoli

con Peppe Cantore

regia di Pino L'Abbate

 

Bassa marea

[Rassegna stampa | locandina | testo]

Artificio ospita in prima assoluta Bassa Marea, dramma di Roberto Russo portato in scena da Fabrizio Bancale. Sul palco, le due attrici Evelina Nazzari e Gaia Riposati, una madre ed una figlia, si incontrano/scontrano nella loro abitazione per distruggersi. Le quattro mura, anch’esse protagoniste della scena, sono rese vibranti dalle suggestioni dell’atmosfera rievocativa e sfumata delle opere di Pizzi Cannella che le ha concepite

Il disagio, la solitudine. Due donne. Al centro della scena una clessidra che sembra scandire le ore a ritroso nel tempo. E una televisione. Come in un gioco delle parti, il mondo reale e quello televisivo si osservano, si specchiano, fino ad assomigliarsi sempre di più: volgarità, abbrutimento, sono i nuovi invincibili virus che contagiano tutti, trasformando la realtà nella più becera fiction televisiva. Senza alcun antidoto. Non resta che adeguarsi all’orrore quotidiano, o provare a rifugiarsi in un mondo altro, fatto di immaginazione, fantasia.. delirio, follia. E così, quel disagio e quella solitudine si amplificano, si ingrassano, fino a partorire mostri. Violenti, sanguinari. Comincia così un gioco al massacro che ha come unico obiettivo la propria sopravvivenza e l’altrui distruzione, come in una giungla, come in una telenovela televisiva, come su uno scranno parlamentare.

Dice l’autore "Tutto ciò che appare nella storia delle due donne e nella vicenda che raccontano è innaturalmente "basso": basse le aspirazioni, i pensieri, i discorsi. "Basso", bassissimo, quasi inesistente, è il rumore dell’esterno. E’ come se le due donne si trovassero in un’affollatissima strada lungo la quale, però, nessuno parla e nessuno le guarda. E, come a volte accade nella realtà e, soprattutto, nella cronaca che conosciamo tramite tv e giornali, può verificarsi che un qualsiasi accadimento minimo, che in un ambito più ampio sarebbe stato appena avvertito, in uno spazio più piccolo e soffocante, produca un’eco amplificata, insopportabile e reazioni imprevedibili."

Dalle note di regia "La disperata esistenza delle due donne non solo annienta ogni speranza di futuro, ma di più, cancella anche ogni ricordo, relegando la memoria in un angolo nascosto: non contano i fatti che sono realmente accaduti, ma solo quelli che oggi possono essere utilizzati come strumenti di offesa, di aggressione. Oltre al bene, scompare il bello, l’arte.

All’interno di una scenografia essenziale, che utilizza sensazioni derivanti dalle riproduzioni delle opere di Pizzi Cannella, la vicenda delle due donne si articola attraverso un contatto diretto col pubblico, volontario spettatore della tragedia, ma al tempo stesso inconsapevole protagonista di quella stessa vita reale che ha emarginato le due donne, fino a condurle alla disperazione. Che è la disperazione dei nostri tempi."

"Abbandoni, violenze.. incesti. Antichi rancori, ripicche: è un continuo rinfacciarsi, vomitarsi addosso colpe, al solo scopo di giustificare le loro esistenze emarginate. Di animali feriti. Di donne sole."

Andato in scena dal 18 Marzo al 3 Aprile, al Teatro ARTIFICIO a Roma

con Evelina Nazzari e Gaia Riposati

regia Fabrizio Bancale

scene da opere di: Pizzi Camelia
allestimento scenico: Angelo Cortese
aiuto regia: Flaminia Chizzola
aiuto scenografo: Bruno Do Nascimento Ferreira
ufficio stampa: Cecilia Riposati

 

Chapeau!

[dal web: Soveratiamo - Applausi per “Chapeau!”!, lo spettacolo in anteprima nazionale al Teatro del Grillo | Corriere Spettacolo - Chapeau! La poesia dell’istinto e l’istinto della poesia nel nuovo spettacolo di Gianni De Feo ]
[sinossi | testo]
[recensioni e articoli: Corriere del Mezzogiorno | presentazione di "Roma" | il mattino | articolo | Gazzetta del Sud | presentazione di Repubblica Napoli | recensione di "Roma" ]

“Chapeau!” è il “tutto Istinto”, sangue, nervi ed animalità fino all’Essenza più profonda ed inconcepibile e, cioè, fino a quel punto oscuro nel quale l’Impulso travalica la barriera del “ciò che conviene fare”. Ed è proprio questo il “Misfatto dell’ Istinto”, lo scandalo del quale, in un Mondo automatizzato e virtuale, si è macchiato il Civis 2Barra4. E’ questo il “Sogno ad occhi aperti”, puro come una bestemmia fra le parole di una Preghiera, il quale, emblema di libertà assoluta diventa, nello stesso tempo, Beatificazione e Tormento dell’essere umano. E quando l’animalità scavalca la staccionata che separa il Bene dal Male, il (Non) Uomo-automa, il (Non) Uomo calcolatore, lasciano il passo all’Uomo Anima, ed Animale.

Possono nascere, in questo modo, in questa insondata terra, nuovi codici espressivi, e Nuovi Emblemi che, esiliando impotenti intellettualismi, si collegano fra loro in uno stridore assordante: il gesto di Orfeo che, nel perdere definitivamente Euridice, (“Colto da improvvisa follia”, come scrisse Virgilio) illumina la meravigliosa limitatezza dell’essere umano; ed il gesto di Zidane nella finale della Coppa del Mondo di calcio del 2006 che, in un singolo istante, rinuncia alla propria “Immortalità”. Entrambi sconfitti, entrambi, poeticamente, perdenti, in un Finale che mortifica la Ragione, entrambi esclusi dalla schiera di “quelli che hanno ragione” ma, proprio per questo, esaltati nella loro Umana, Lirica, Animalità. Orfeo e Zidane sono due poesie di carne e sangue.

“Chapeau!” è la Nota stridente, contrapposta ad un Coro che intona la canzone sbagliata ed inumana della violenza, della repressione e della discriminazione.

La Voce fuori dal Coro di chi non ha smarrito la propria fragile, e fortissima, Umanità.

 

 

Con Giuseppe Giorgio, ufficio stampa, alla prima, alla Sala Assoli di Napoli, per "Chapeau"

 

 

 

 

Coda 'e lacerta

[testo]

Due atti per 3 attori e tre attrici. In napoletano. La coda di lacerta è la coda di lucertola, componente irrinunciabile per gli intrugli magici e questo testo si basa proprio sulla visione pagana della religione in una città come Napoli ed è ambientato all’inizio della breve esperienza repubblicana a Napoli nel Gennaio del 1799.

Ci troviamo in una zona della città detta Antignano, è una zona molto antica (oggi fa parte del Vomero) e nel 99 era il solo borgo presente sulla collina. A poca distanza da Antignano sorge Castelsantelmo che domina la città e, dai cui spalti, il 21 gennaio del 1799 dopo la conquista, sventolò il vessillo repubblicano.

In realtà nel testo si racconta una storia minima che si svolge proprio in quelle ore: Olimpia, padrona di una taverna ad Antignano insieme a suo marito Carmine, specula sui supposti poteri di “santa” di sua figlia Nannina. In realtà la ragazza viene ogni giorno drogata con un intruglio e sotto l’effetto cambia voce e dà responsi alla gente che valgono alla mamma un bel po’ di soldi. Olimpia, però, non è solo un’approfittatrice, lei “crede” davvero ai poteri della figlia che è stata dedicata a San Gennaro. La taverna è frequentata anche da un medico caduto in disgrazia, Don Carlo Fuiano, intellettuale e uomo dei Lumi, che assiste con un misto di orrore e di disprezzo ai maneggi della donna, non riuscendo, peraltro, a dissuaderla. La mattina del 21 gennaio, Santelmo è conquistato e Fuiano, all’ennesimo rifiuto di Olimpia di cessare quelle pratiche nocive alla salute di Nannina, minaccia di denunciarla. Intanto fa la sua apparizione nella taverna anche un Lazzaro in fuga, Tore, che rappresenta l’esatto opposto politico e sociale di Fuiano. Il finale, drammatico, vuole essere anche lo specchio di una città, da secoli, spaccata a metà fra avanguardie borghesi intellettuali (troppo spesso incomprensibili), e il popolino violento e superstizioso, la cosiddetta “plebe”, vero terreno fertile per tutto il degrado culturale e sociale (Camorra compresa) che viviamo anche ai nostri giorni.

Il testo, scritto nel ’98, non è stato ancora rappresentato.

 

Confiteor

[recensione | testo]

L’azione si svolge ai nostri giorni nella sagrestia di una chiesa cristiano ortodossa di Belgrado o di un’altra qualsiasi città della Jugoslavia odierna. Thomas Gomulka ottiene un colloquio con un sacerdote cattolico, italiano, proveniente da Mostar. Già dai convenevoli iniziali il sacerdote comprende che Gomulka, oggi posato borghese, negli anni precedenti, ha militato nelle formazioni para militari serbo bosniache, partecipando anche alla presa di Mostar. Ciò che racconta Gomulka è orribile, ma la narrazione del genocidio e della pulizia etnica è totalmente priva di emozione e di pentimento. L’uomo vorrebbe che il prete, una volta tornato a Mostar, si mettesse in contatto con una giovane donna musulmana, Olga Dzajic, o con qualcuno che la conosca…… Al di là delle condanne e dell’orrore mostrato rispetto a quanto Gomulka racconterà, nel sacerdote, e in tanti come lui, si sostanzierà un “peccato di omissione”, così come viene recitato nel Confiteor, un equivoco, ambiguo, e sottilissimo filo che conduce all’indifferenza e all’intolleranza.

 

D’altra parte come le cose

[testo]

Atto unico per due personaggi. Himem, l’uomo, e Ram, la donna provano a ricomporre la memoria di una vita trascorsa assieme e che il decorso del tempo, e la malattia della donna, tendono a sfumare. Nato sull’ispirazione di “Giorni Felici” di Beckett.

 

Dedalo (e Icaro)

A te, Apollo, ‘nterra a sta terra chiammata “Cuma”, addò Onne e Cielo, fumiente e flamme d’ ‘o Nfierno, s’ammescheno dint’a ll’uocchie, ie, Dedalo di Atene, te cunzegno li scelle ca, dell’ uosemo, d’ ‘o figlio mio Icaro, ancora addorano!
Ccà, vulanno,ie, mettette ‘o pede, ma ‘ncielo rumanette ‘o Core mio!
(urla) “ Guagliò! Nun t’attiggià! Ammisurate palla e valanza! M’he ‘ntiso!? Vieneme appriesso! Nun gghì arrasso!”
Ie già ll’avevo ntennuto, avevo capito bbuono: ‘e vvote, ‘o “ Supierchio”, pure sì è bello, po’ fa male. E sta Verità, ca pure m’ero menato ncuorpo, niente me ‘mparaie! Pecchè, ‘o Supierchio è nu tuosseco ca nun cunosce farmaco..
Accussì, Ie, Granne Scultore! (Sbattite ‘e mmane!)
Grann’Architetto! (Cchiù fforte!) Ca devo vita e ciato a lli prete, c’addeventavano statue, vulanno, ‘int’ ‘o Volo mio, scuntaie ‘o bello, c’ ‘o brutto, ‘e nu carattere nguttuso e geluso!
Pe’ gelusia, propr’ ie accidette nipotemo Talo! Nisciuno m’aveva abbencere dint’all’Arte meja! Manch’isso!
Me cundannaieno. E a Creta truvaie recietto. E lloco, succedette ‘o fatto..
Mò, te cunto, Apollo mio, quanta nfame e traina pò essere ‘a Natura nosta…
Vulava ‘a Vita mia pe’ tramente ca Minosse, ‘o Rre, me cunzignava Annore e Sustanze pe’ ffà ‘o Labirinto: connola ‘e sanghe p’ ‘o Minotauro, ‘o figlio sojo..
Ma ‘o Volo nun cunosce Male, né Bene, e nemmanco accurtezza! Ie tenette mano a Arianna, ‘a figlia d’ ‘o Rre, nnammurata ‘e Teseo, p’accidere ‘o Minotauro.
Pe’ nu filo, Arianna, aggio perzo ‘o filo d’ ‘a vita meja, t’arricuorde?
E male, me ne venette: Minosse me ‘nzerraie cu Icaro ‘int’ ‘o stisso juoco ‘e morte ca avevo penzato…
Comme se sfuje ‘a stu Labirinto…?
Vulanno! Abbastano nu par’’e scelle azzeccate c’ ‘a cera! E accussì, ie e figliemo, pigliaiemo…Cielo!
“Guagliò! M’he ntiso!? Ammisurate palla e valanza! Vieneme appriesso! Nun gghì arrasso!”
Ma isso, saglieva!
C’’a pazzaria dell’anne verde, saglieva!
Cu ll’uocchie pittate ‘e Cielo, saglieva!
“ ‘E vvampe d’ ‘o Sole strujeno ‘a cera! Scinne! Guagliò!”
Uocchie e recchie s’abbarrano pe tramente ca staje sunnano…
E’ troppo bello “ ‘O Vvulà”! E li vvampe d’ ‘o Sole te mbriacheno ‘e Fantasia! Se struiette ‘a cera. E Icaro, paro a nu muzzone ‘e cannela, cadenno, addeventaie sanghe e cennere.
E tanno, ie, arrivaie ‘nnanza a te, Apollo e a chisto Tempio ca t’aggio custruito…
Ma na cosa aggio capito!
Chello ca, pare, riala sulo gulìo, malapatenza, ce po' rialà!
E’ ‘o vero: vulanno troppo aveto s’arreseca ‘a vita.
Ma qua sfizio ce putesse maie sta, senza putè vulà!?

 

Dopo il segnale

[testo]

Atto unico per un solo personaggio e tre voci (ma adattabile anche per quattro personaggi). Angela è una donna manager dura, decisa e che non ammette alcuna debolezza né per sé, né per gli altri. Una sera riceve una telefonata da parte di un veccio amico del quale aveva perso completamente le tracce. L’amico le comunica che non solo ha incontrato il padre di Angela ma che il vecchio gli ha chiesto di preannunciare alla figlia una sua telefonata nella quale vorrà chiederle “Perdono”. Angela accoglie la notizia con un misto di incredulità ed irritazione: suo padre è morto 5 anni prima….

 

Elizabeth, Mary e la misura dell'amore

[testo]

E’ il ring di un incontro di box. Un referee, arbitro dell’incontro, presenta le due contendenti: in un angolo, Maria Stuart, regina di Scozia, nell’ultima fase della sua vita, quando è già rinchiusa nel castello di Fotheringay. La sua condanna a morte è stata pronunciata ma Elisabetta non ha ancora firmato l’atto che la manderebbe al patibolo.

Nell’angolo opposto Elisabetta Tudor, regina d’Inghilterra e cugina, da parte di padre, di Maria. Alla semplicità forzata nel vestire di Maria, fa da contraltare la pomposità di Elisabetta ricoperta da vesti e simboli del Potere.

Al segnale del referee, inizia il match e nel confronto verranno esposte non sole le ragioni (ed i torti) di ognuna delle due posizioni, ma verranno in evidenza i due diversi percorsi di vita, le scelte e le personalità contrastanti delle donne.

Clemenza e durezza, conflitto e complicità, tenerezza e senso dello Stato, orgoglio e fragilità si confondono in entrambe le Regine. Ma il vero terreno di scontro-incontro sarà l’Amore in tutte le sue forme ed in ogni sua manifestazione.

Si giungerà a misurare l’entità dell’Amore che ognuna delle due ha elargito ed ottenuto dall’esistenza e da coloro che hanno caratterizzato le due vite.

Dal confronto sulla Misura dell’Amore scaturirà il Perdono oppure la Condanna.

 

Era la sua fotografia

[testo]

Erik Blossel fa il fotografo. E non è nemmeno un fotografo “di professione”. E’ un dilettante che utilizzando una macchina antidiluviana, una vecchia Kodak per istantanee, prova a sbarcare il lunario vendendo immagini-ricordo ai turisti che visitano la Bolivia. Blossel, pur nella sua cialtroneria inoffensiva ma insistente, si ritiene il Testimone di quelli che reputa due fra i più sconvolgenti Miracoli della Storia dell’uomo… Tutto era iniziato il 10 Ottobre del 1967. Erik era stato l’unico a fotografare il cadavere del Che nell’ospedale di Vallegrande. L’impressione destata in lui dall’immagine di Guevara e la consapevolezza di avere assistito ad un evento epocale, induce Blossel a ritenersi depositario di clamorose Verità e a tessere una storia dai contorni mitici e leggendari, come quelle che raccontavano i cantastorie di una volta. E’ la Grande Storia vista “dal basso” con occhi ingenui, incantati e popolari, come quella che, forse, sarebbe stata raccontata da uno qualsiasi dei pastori della Natività.

 

Flores desnudas

[testo]

Come fiori spogliati, strappati. Come brandelli dati in pasto alla follia degli uomini e alla violenza della Storia che macina e travolge noi “piccoli” che quasi mai determiniamo “ La Storia Ufficiale”, le vicende di due donne in “Flores Desnudas (Esperar)”.

Il lavoro sperimenta la narrazione drammaturgia del doppio monologo incrociato, in un crescendo di tensione lirica.

Due donne. Distanti fra loro per età, periodo, condizione sociale e per connotazioni psicologiche, storiche e geografiche.

Due donne collegate, però, dalla comune Attesa di un Evento, inserito in due momenti di Grande Storia. Il verificarsi, o meno, di questo Evento condurrà la loro vita verso una Rinascita, o verso un baratro. Esperar: come Sperare ed Aspettare.

In “FIORE DI CARTA”, LUCIA è una donna di Antignano, un rione popolare di Napoli. Sono i momenti della rivolta popolare del settembre del 1943 contro i Tedeschi. Le Quattro giornate di Napoli. La guerra, strada per strada, irrompe in luoghi familiari e quotidiani e coinvolge anche il figlio di Lucia, prigioniero degli invasori, insieme ad altre decine di persone, all’interno del vecchio stadio del Vomero. Lucia è una donna sola. Il marito l’ha abbandonata qualche anno prima e adesso, nella sua casa, a poche centinaia di metri dallo Stadio, la donna rivolge in un delirante susseguirsi di speranze e rabbia, la propria angoscia impotente ad un Fiore di Carta, unico e grottesco regalo del marito lontano, conservato come promemoria di una lunga delusione. A Lucia giungono brandelli di avvenimenti, voci concitate, narrazioni captate attraverso mura e finestre. Lei stessa scende in strada alla ricerca del figlio, Madonna inchiodata alla Croce dell’Ansia, fra migliaia di Poveri Cristi.

Durante l’Attesa del ritorno, e nella progressione degli eventi narrati, in un ambiente apparentemente naturalistico, installato in metà scena, e deformato nelle dimensioni degli stessi oggetti (sedia, tavolo, finestra), dominerà la presenza ed il ticchettio di un’enorme sveglia con più lancette. Questo oggetto dominante, posto esattamente al centro della scena, sarà l’elemento comune anche al secondo monologo (installato nell’altra metà della scena stessa).

Il secondo monologo, che si intreccerà con il primo, ha per titolo: “FLOR DESNUDA”. ISABELLA è il nome della seconda donna.

Siamo a Buenos Aires, il 25 giugno del 1978. E’ il giorno della finale del Mondiale di Calcio “Argentina – Olanda”. La donna attende il proprio uomo, Carlos, mentre le voci dei telecronisti riempiono il vuoto di una città spettrale, sospesa fra il terrore delle repressioni di Regime, e la speranza della Festa. L’uomo è stato sequestrato dalla polizia politica del generale Videla ed è stato inghiottito, come tanti desaparecidos, dagli uffici dell’ESMA in cui si torturavano gli oppositori. L’ESMA sorge a 300 metri dallo Stadio Monumental nel quale si sta svolgendo la finale. Isabella, allora, si rivolge al poster di Mario Kempes, goleador della nazionale argentina, così come si farebbe con un’immagine votiva e culla, nel delirio che nasce da un’insensata speranza, l’illusione che una vittoria della Nazionale indurrà la giunta militare a concedere l’amnistia a tutti i prigionieri. Anche qui il dramma sociale e storico si fonde con quello umano: Isabella non ha avuto ancora il tempo di poter dire a Carlos che il sentimento dell’uomo è da lei, adesso, finalmente, ricambiato.

L’intreccio delle due narrazioni drammaturgiche è cadenzato in maniera ritmica e crescente, e sfocia in due pre finali aperti ed in un finale, comune e surreale, segnato dall’improvviso trillo della grande sveglia che sancirà, fra i due, un solo ritorno. I due fragili steli, LUCIA ed ISABELLA, spogliati dall’infuriare impetuoso di una tempesta di vita, troveranno nel “delirio di speranza”, la strada per resistere alla bufera della violenza e della perdita.

 

Gloria al padre

[testo]

di Roberto Russo e Daniela Foglia

Monologo, atto unico. Maria è chiusa in quello che, apparentemente, sembra un bagno; attorno a lei ci sono tre porte chiuse e qualcuno bussa per entrare, ma la donna, pur dialogando con un’interlocutrice che non si vedrà mai, ha un’esigenza: dettare una lettera al proprio figlio, Umberto. In questa missiva, intervallata da acide osservazioni nei confronti di colei che è dietro la porta, e che ha il compito di trascrivere la sua lettera, Maria fa una disamina della propria vita e dei propri rapporti con gli altri… Traspare il suo costante desiderio di compiacere gli altri, di annullarsi di fronte ai desideri altrui e, nel contempo, di immaginare una realtà del tutto diversa rispetto a ciò che, effettivamente, si verifica. “Gloria al Padre”, scritto da Roberto Russo e da Daniela Foglia, è stato vincitore nel 2002 del Premio Napoli Drammaturgia in Festival II Edizione, per la sezione Monologhi.

 

Gulliver sulla riva

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Due atti per 6 personaggi. A circa vent’anni dal suo ritorno nella casa di Redriff, il vecchio Lemuel Gulliver riprende il mare. Lo spinge una necessità impellente: trovare, finalmente, la propria casa e la propria dimensione. La figlia Betty, dopo la morte della madre, e dopo averlo relegato nella stalla a discorrere esclusivamente con gli animali, si è impossessata della casa di famiglia. Gulliver approda a quella che, secondo i suoi calcoli, è Lilliput. Incontra, invece dei piccoli esseri alti sei pollici, due disgraziati: il pescatore Nicholas Barnes e sua figlia Kate….La sua seconda tappa è Brobdignac, quella che aveva descritto come la terra dei giganti. Ma anche qui una sorpresa lo attende: Brobdignac è abitata da esseri di statura normale che Gulliver, con gli occhi del sogno, occhi da bambino, trasfigurava in esseri giganteschi. Lemuel è cambiato, ferito dalla vita, ferito nei suoi affetti, vede ciò che realmente lo circonda.

 

Harmonicus (Il male necessario)

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“Il Futuro, è Presente!” è l’inquietante slogan che caratterizza il mondo di “Harmonicus- Il Male necessario”. Riecheggiano nell’immaginaria società (che “immaginaria” non è per niente) dominata dallo Stato Trainer, e guidata dal Primo Trainer, suoni, parole d’ordine e atmosfere del Ventennio. In una sorta di Presente/Futuro, nell’intero Continente Europeo, vige la Regola del Bene Comune che si basa su alcuni principi semplici e inoppugnabili il cui rispetto è assicurato da un capillare controllo in stile 1984 di Orwell.

I principi si possono così riassumere: 1) ginnastica obbligatoria per tutti. 2) salutismo obbligatorio nell’alimentazione con eliminazione di ogni derivato dal mondo animale, (carni, uova etc etc). 3) divieto di fumo. 4) divieto di attività sessuale che esorbiti da una “corroborante copula settimanale” il sabato sera. 5) divieto nell’uso del vernacolo. 6) rinuncia ad ogni rivendicazione sindacale o salariale da parte dei lavoratori che devono essere riconoscenti per non essere stati ancora licenziati.

Continua...

 

Il bivio

[testo]

“Il bivio” è basato sulle giornate comprese fra il 28 settembre ed il 1° ottobre del ‘43 a Napoli; giorni che segnarono la rinascita della dignità di un popolo. Le Quattro giornate di Napoli rappresentano ancora oggi un terreno da esplorare e da comprendere fino in fondo, un vero “rinascimento” nel quale, forse per la prima volta nella sua storia, Napoli diventa “una”; non più, quindi, la Napoli popolare contrapposta alla Napoli degli strati borghesi o intellettuali (come avvenne nelle drammatiche vicende della Repubblica Napoletana del 1799), ma una Napoli “completa”, una Napoli finalmente “città”: medici, avvocati ma anche gente del popolo, scugnizzi, uniti da un unico intento: riscattarsi. “....E arriva il giorno per ognuno di noi e per un intero popolo nel quale bisogna scegliere se continuare una vita da ciechi, da sordomuti, una vita di rospi ingoiati e di parole frenate o, al contrario, riscattare con un gesto generazioni di vigliaccherie, di indifferenze e di silenzi impauriti o complici. Quello è il bivio”.

 

Il grande Cirillo

[recensione | testo]

“Il Grande Cirillo” è ambientato a Napoli alla metà del Gennaio 1799, in quel giorno nel quale la città si risvegliò con negli occhi la novità di una strana bandiera tricolore che sventolava sui bastioni di Castel Sant’Elmo e con la sensazione che qualcosa di nuovo (che già da qualche giorno maturava drammaticamente) fosse accaduto. Il Grande Cirillo è incentrato sulla categoria degli “anti-eroi” che in ogni periodo storico seguono il flusso degli eventi, vi si adattano e riescono, a volte, anche a ricavarne dei vantaggi. Ci troviamo in una delle sale del convento di San Pietro a Maiella. Il maestro Pietro Cirillo, maitre de chapelle e violinista, confida ai suoi collaboratori, violinisti anch’essi, tecniche e strategie per potere restare nelle grazie del padre superiore del convento e per potere rintuzzare adeguatamente le mire di altri musicisti lì convocati dal prelato al fine di allestire un inno sacro dedicato alla Vergine secondo i desiderata della Curia di Napoli. Durante le prove giungerà la notizia della presa di Sant’Elmo e tutti i nostri anti-eroi, meschini, bugiardi e gretti fin che si vuole, ma molto umani e fors’anche veri, sapranno cavalcare l’onda e anche l’inno sacro diventerà “qualcosa” di diverso......

 

Il Re

[recensione | testo]

 

Lello Iovino è un cantante neo melodico napoletano. Grazie ai maneggi della sorella Amalia, molto vicina per forma mentis e per necessità alle strutture dei clan del sistema Camorra, riesce ad approdare ad un discreto successo che si rivelerà assolutamente illusorio nel momento in cui, in seguito ad uno sgarro, il cantante sarà abbandonato dai suoi stessi, interessati, sostenitori, ripiombando nello squallore di una vita degradata.

 

 

 

Il regalo

[testo]

Zero più Zero, non fa Zero. Perché se i due “Zero” sono Commevuotu e Chivuotu, i due personaggi de “Il Regalo”, allora, ogni risultato Virtuale, è possibile.

Perché è possibile essere opinionisti senza capire una “cippa” di niente. Si può essere improvvisati Filosofi da Web, oppure Artisti senza avere alcun talento.

I due sono i prodotti della nostra era di Social e di comunicazioni ultra veloci che tutto, e tutti, fagocitano e sputano, dopo una superficiale masticata: la Vita, la Morte, il Quotidiano, l’Amore, il Tempo, il senso stesso delle Parole. Ogni cosa è setacciata da Commevuotu e Chivuotu, amici “virtuali” al loro primo appuntamento nel mondo reale da festeggiare con un colorato ed imponente “Regalo”. I due personaggi, modernissimi al punto da risultare istantanei, sono, allo stesso tempo antichissimi perché, nel loro Nulla, nell’iniziare un discorso senza mai completarlo, sono orpelli di un manierismo che travalica il “barocco” per approdare al lezioso “Roccocò”. Sono delle “Gargoyles in tutù”.

E l’apertura dei rispettivi “Regali” sarà l’apoteosi di quel “Vuotissimo Tutto” ( o di quel “Tuttissimo Vuoto”) da bruciare in una frazione di secondo.

 

Il tempo supplementare

[testo]
[recensioni e articoli: presentazione de "Il Roma" | articolo ]

Il tempo supplementare

 

Testo per due attori.

Raul Corduas è un autore teatrale al quale, una sera, fa visita un’attrice, Sandra Tanel.

Sandra ha lo scopo di chiedere al cinico e scorbutico Corduas un suo testo allo scopo di farne uno studio per un laboratorio teatrale che ha appena inaugurato.

Il provocatorio Corduas le propone un suo testo ancora incompleto, manca, infatti, non solo del finale ma dello sviluppo centrale, che si intitola “Il Tempo Supplementare”.

Sandra, nonostante le continue provocazioni alla quale è sottoposta dal tignoso Corduas, accetta e propone allo scrittore di completare assieme le parti mancanti del testo. L’autore, nonostante le perplessità, accetta.

Da quel momento, fra i due, si instaura un gioco crudele e sorprendente nel quale nulla è per come appare, fino alla conclusione inaspettata.

“Il Tempo Supplementare” è la piece del tempo andato e di quello sprecato. E’ la ricerca ma, nello stesso tempo, la fine della Speranza.

 

 

Invisibili – Nevydymyy

[testo]

Due donne. Paola e Natalia. La prima, italiana, borghese, fragile ed arrogante, devastata dalle proprie dipendenze psicologiche e dalle tante fisime e vacuità. La seconda, ucraina, paziente, efficiente, apparentemente passiva, partita alla volta dell’Occidente per fame, per bisogno, ma forgiata da dolori concreti e tangibili.

Due mondi diversi che appaiono non in asse: il mondo delle necessità di Natalia è gerarchicamente subordinato a quello del benessere di Paola.

Due mondi che si confrontano e si affrontano in una lunga notte che culminerà in un amaro finale a sorpresa.

Paola, allo scopo di riequilibrare un rapporto matrimoniale ormai asfittico, ha cacciato di casa (dice lei) l’ormai indifferente marito. In realtà la donna, fin dall’infanzia, è stata vittima sacrificale di uomini distratti che ha rincorso per placare la propria ansia di abbandono e di attenzione. La sua strategia mirerebbe, appunto, a capovolgere i rapporti di forza nel proprio matrimonio. Paola è sicura che il non rincorrere l’altro, per la prima volta nella sua vita, indurrà l’altro a rincorrere lei. Nell’illusione/speranza di ottenere tutto questo, Paola, si è inventata una sorta di maldestra forma di auto disciplina: da cinque notti si fa legare ai braccioli della poltrona per evitare, attraverso il cellulare, di cercarlo e di implorare il suo ritorno. Il compito di Natalia è di legarla assistendola dalla sera, quando appunto l’ansia in Paola si fa più feroce, fino all’alba, quando finalmente la slegherà. Durante quelle ore Natalia custodirà il cellulare della donna. Quella di Paola è una disperata resistenza al “Canto delle Sirene” della propria ansia e della propria incapacità a leggere la realtà delle cose.

Sono due modi diversi di essere “Invisibili”. Paola si sente Invisibile al proprio oggetto/soggetto di Amore e mostra, palesemente, un’assoluta mancanza di auto stima che viene in parte occultata dalla tipica presunzione della borghese di buona famiglia dalla buona consistenza economica. Natalia è, in quanto immigrata, Invisibile al mondo nel quale è approdata che la giudica con la generica dicitura “voi ucraine” che palesa un evidente pregiudizio.

La fragilità di Paola, durante la notte, assume connotati grotteschi se raffrontati con le vere tragedie sociali e belliche che Natalia e la sua gente hanno vissuto.

Eppure, Paola, pur consapevole di essere stata durante la propria vita una specie di bene di consumo, un’Utilità marginale che quanto più era “usata”, tanto più veniva a noia ai propri “consumatori”, nel proprio egocentrismo vittimistico, arriva addirittura ad anteporre la propria sofferenza privata (che, pure esiste) alla sofferenza di un intero popolo. E questo sentirsi, da parte di Paola, superiore a Natalia ed alle sue sofferenze (che in realtà non conosce ancora) indurrà l’ucraina a sottoporla ad un gioco tanto liberatorio, quanto crudele.

Il gioco si chiama “Invisibili” (Nevydymyy, in ucraino). Un terrificante intrattenimento, gioco della Verità, che svelerà realtà e consapevolezze dure, e definitive, per entrambe.

 

Iohannes Factotum (Shake-Speare’s)

[testo]

Johannes locandina“Nel 1593, lo scrittore satirico Robert Greene, nella prefazione di un suo libro, apostrofò con l’irriverente nomignolo di “Iohannes Factotum”, William Shakespeare”

Questa è la versione ufficiale e, si badi bene, in ogni pubblicazione, anche contemporanea, delle opere di Shakespeare, fra le note biografiche, si afferma che l’unico scritto che ci permette con Certezza di identificare Shakespeare, è proprio quello di Robert Greene.

Lo spettacolo “Iohannes Factotum”, nato da uno studio capillare della questione shakespeariana, e basato sulla fondamentale consulenza di Saul Gerevini, saggista e scrittore che da anni si dedica a tale ricerca, nonché su di un’analisi di documenti esistenti, svela una realtà del tutto diversa. Una realtà non romanzata ma documentata.

Continua...

 

L'inferno

[testo]

Sei monologhi di estrema attualità che illustrano, attraverso le vicende di sei personaggi, la Crisi economica, sociale e di valori che viviamo ai nostri giorni.
I sei sono protagonisti e vittime dell’attuale mancanza di prospettive e di sviluppo nel campo del lavoro ed in quello sociale che produce precarietà e disagio.
E’ una vera discesa all’Inferno, dal Limbo di Raffaele, dirigente di un’impresa privata, prima mobbizzato e, poi licenziato per esigenze produttive e di mercato, a 55 anni, fino alla Caina di Curci Ottavio, poliziotto, che una sera, durante un posto di blocco, incontra un atroce destino. In questo tragitto si incontrano altri volti: da quello di Shege, madre albanese, che vede suo figlio immolarsi, vittima del lavoro, alla costruzione dell’Expò, ad Antonio, operaio dell’Ilva di Taranto, posto di fronte ad una drammatica scelta, fino all’Anonimo imprenditore “smembrato” dalla crisi economica, e fino a Rossella giovane precaria “assunta” come lavoratrice senza più diritti, della Telecom.
Una galleria Infernale popolata da gente comune, da persone che possiamo incontrare ogni giorno che esprimono, nello stesso tempo, il disagio della loro condizione e una disperata ricerca della vita.

 

La camorra sono Io

[recensione | testo]
[articolo dal web: Biblioteca digitale sulla camorra - Università degli Studi di Napoli Federico II ]

Atto unico per 6 personaggi, “ La Camorra sono io”, è un je accuse violento ed impietoso alla Napoli dei nostri giorni. La struttura del testo è pensata sulla falsariga del teatro nel teatro: durante una serata di beneficenza “a favore” del sistema Camorra, fra cantanti e barzellette, irrompe sul palco un signore, è un borghese come noi. Fra lo sconcerto generale il borghese (nessuno dei personaggi ha un nome proprio) rivendicherà orgogliosamente la sua appartenenza e, nel contempo, il suo operato: “Signori, la Camorra sono io!”. Fra lazzi ed invettive, il borghese si conquisterà l’attenzione dell’uditorio del quale faranno parte il I BOSS, il II BOSS, e la moglie del I Boss. Inizierà una schermaglia fatta di analisi, risate, excursus storici e politici che affonderà come un coltello nel tessuto molle di questa città formato da tutti coloro che o vivono di illegalità, o la favoriscono per interesse o convenienza.

Regia di Agostino Chiummariello

 

 

La costruzione

[locandina][Note di regia][Recensione su Latina oggi][testo]

Il 28 Febbraio del 1884, la corte di Cassazione di Torino emette la sentenza 185 8134 su di un caso che sin dal suo instaurarsi in I grado, e poi in Appello, aveva suscitato non poco scalpore. Il fatto si può così riassumere: un anno prima Luigi De Barbieri e Antonio Marchese, due giovani omosessuali, erano stati processati e condannati per atti contro natura (segnatamente: sodomia) sulla base di una denuncia presentata da un cliente dell’albergo nel quale anche i due erano ospiti. La particolarità del fatto risiedeva nella circostanza che il denunciante aveva solo “sentito” e non “visto” ciò che era avvenuto nella camera di De Barbieri. Il processo, lungi dal riguardare il solo caso specifico, coinvolse lo stesso concetto di privacy e di libertà personale, risolvendosi in una vera condanna sociale di ogni forma d’amore non “produttiva” sia etero che omosessuale.

 

 

 

Portato in scena dalla compagnia Luna Nuova nel mese di novembre 2012, con la regia di Sara Pane

 

Altre informazioni su www.lunanovateatro.it

 

 

 

 

 

 

La Fine del Mondo

[testo | sinossi | locandina ]

La Fine del Mondo

 

La Fine del Mondo è stata annunciata dal telegiornale e la notizia non era nemmeno fra i titoli più importanti. Era dopo lo sport. prima della sigla.
Lo speaker stava quasi per chiudere poi gli hanno passato un foglio: " Notizia dell'ultima ora. Fra 7 giorni, alle 13,40, sarà l'ultimo giorno del mondo..
Era questa l'ultima notizia, vi auguro buona serata..." Sigla. Pubblicità.

 

 

La rosa non ci ama (Carlo Gesualdo vs Maria D’Avalos)

[testo]
[recensioni e articoli: credits | il Messaggero intervista Cloris Brosca | Comunicato Stampa | articolo di Repubblica | articolo de "Il Roma" | locandina ]

Se Carlo Gesualdo e Maria d’Avalos fossero stati, quanto meno, coevi di Dante, non è azzardato immaginare che la loro vicenda avrebbe potuto essere parte dell’Inferno della Comedia.
Ispirato da questa suggestione, non solo ho strutturato inizio e fine del testo su terzine dantesche (o incatenate), ma l’intero impianto drammaturgico ha atmosfere e “sentori” da bolgia infernale popolata da personaggi tragici e grotteschi.
Il duplice omicidio di Piazza San Domenico, avvenuto nella notte fra il 16 ed il 17 ottobre del 1590, è un must narrativo e, suo malgrado, mitizzato.

Amaro è, infatti, il destino dei protagonisti che, a distanza di secoli, sono ancora oggetto di pettegolezzi, morbosità, giudizi trancianti, e pregiudizi.
Il primo passo di avvicinamento che ho mosso verso la vicenda di Carlo Gesualdo e di Maria d’Avalos è stato ispirato al Rispetto per gli esseri umani e per la loro tragedia.
Il secondo passo è stato quello di fare piazza pulita di leggende, preconcetti e particolari morbosi del tutto infondati.
Il terzo è stato comprendere, e collocare, le persone nel proprio tempo. Tanto per essere chiari, Gesualdo, sublime musicista proiettato nella sua Arte alla modernità, resta però, socialmente e psicologicamente, un uomo di fine ‘500.

Continua...

 

 

Le mani aperte

[prologo | testo]
[recensioni e notizie dal web: Corriere del Mezzogiorno | Viola De Vivo | IlBrigante.it | il Mondo di Suk]

“Le Mani Aperte” è un monologo in un atto e costituisce il viaggio all’inferno e ritorno attraverso i ricordi, o meglio, i fantasmi della memoria di Paolo Rocca. L’inferno, per il protagonista, è una situazione permanente ed ha i connotati di una persistente negazione di sé e della propria omosessualità. Ambientato a Napoli, all’inizio degli anni ’60, il lavoro inizia dalla fine e cioè dal ritorno di Paolo Rocca nella casa di famiglia, ormai deserta, che conserva intatte, per lui, tutte le presenze e le sensazioni che avevano condizionato la sua vita sin da bambino. “Le Mani Aperte” è un monologo liberamente ispirato ad “Alexis” di Marguerite Yourcenar. Di questo famoso romanzo si è teso conservare il dolente senso di ricerca da parte del protagonista.

 

 

Andato in scena dal 18 al 28 ottobre 2012, al Teatro Il Primo, “Le Mani Aperte” per la regia di e con Arnolfo Petri

 

Guarda l'intervista ad Arnolfo Petri

 

 

 

 

Le ombre

[testo]

Due atti per 5 personaggi (tre uomini e due donne). Floe e Dike sono due gemelli siamesi legati per la colonna vertebrale. Vivono a Sarajevo e la storia si sviluppa proprio durante la tragica vicenda della guerra civile e della pulizia etnica in Bosnia. I due fratelli, dato il loro stato, hanno bisogno di una continua assistenza che viene loro assicurata dalla madre, Ina. Il padre li ha abbandonati qualche anno prima, non sopportando una vita di continui sacrifici, e vive oramai con un’altra donna. Un giorno, Floe e Dike al risveglio, come ogni mattina, chiamano la madre che, stranamente, non risponde… Le Ombre, scritto nel 96, è stato finalista al Premio Fondi La Pastora nel 98, e al Premio Napoli Drammaturgia in Festival nel 2002.

 

Lady Shakespeare

[testo]

Shakespeare è un groviglio di misteri. Nonostante gli aspetti non definiti risalgano appena a 400 anni fa, epoca di stampe e documenti scritti, nonché di carteggi, corrispondenze e resoconti, la vita dell’uomo e il suo stesso profilo, appaiono ancora oggi, nebbiosi. Il Mistero assume i tratti dell’Enigma se ci avviciniamo ai 154 Sonetti. I primi 126 sonetti sono indirizzati ad un uomo, il Fair Youth la cui identità, si ipotizza, possa essere quella di Henry Wriothesley, III conte di Southampton, protettore tanto di Shakespeare, quanto di John Florio ma, ripetiamo, non esistono certezze. Ma è sui restanti 28 sonetti, quelli dal 127 al 154, che l’Enigma si trasforma, ulteriormente, in Sciarada. Tali composizioni sono, inequivocabilmente, indirizzate ad una donna, la Dark Lady. Ma, se per il Giovane biondo, una parvenza di ipotesi si può articolare, per l’Oscura Signora domina la più profonda tenebra. Si, è vero, anche in questo caso si sono avanzate delle ipotesi ma è talmente vasta e variegata la “gamma femminile” che si considera (dalla tenutaria di un bordello, ad un’attrice, ad un’artista, e via di questo passo) che determinare il profilo storico di questo personaggio, a meno che non si rinvengano nuovi ed illuminanti documenti, appare impresa improba e surreale.

Però, tralasciando lo studio di ricerca, e soffermandoci sullo stato d’animo che vive l’uomo nell’atto di scrivere quei 28 sonetti, qualcosa di molto vero, di molto umano, possiamo rinvenire basandoci su deduzioni che creano una vera e propria ucronìa.

La dark lady è l’ossessione, la dannazione del poeta e dell’uomo. E’ una donna che ha inferto ferite profonde e dolorose. E’ l’Amore che annebbia, che si benedice e che, poi, si maledice fino alla bestemmia. Il tratto umano e sentimentale di alcuni sonetti è, da questo punto di vista, impressionante e commovente.

Ed allora, partendo da questo lato sentimentale e sofferente, i due, ci appaiono spogliati dalle vesti del Mito e della Leggenda, e impegnati in una cruenta battaglia d’amore alla quale segue un’atroce, ed umana, vendetta.

In un luogo indefinito, apparentemente oltre lo spazio ed il tempo, polveroso, sabbioso, invaso da carte e con uno specchio sempre velato, vive la Dark Lady dei Sonetti di Shakespeare.

In questo luogo indefinito fa la sua comparsa un uomo che lei non riconosce, ma che si presenta come una sorta di angelo custode. Questo ospite la sollecita al ricordo e al racconto della storia con il poeta. La narrazione ha una progressione simile al progredire del giorno. Dall’alba, fino a notte fonda.

Nel ricordare la furiosa battaglia e l’assedio sentimentale, nei quali lei era la fortezza da conquistare si delinea netta la consapevolezza della Dark lady: la sofferenza che, volontariamente, ha inferto in vita al Poeta, è stata lo stimolo per la creazione di una Bellezza artistica senza pari della quale, quindi, lei ha il merito. Ed il premio che le è toccato è l’Immortalità che può, a giusta ragione, condividere con l’autore.

Ma qualcosa, fin dall’inizio, non torna…..A cominciare da quel luogo, a lei del tutto sconosciuto che, di certo, non ha i colori splendenti, e consolatori, di un Empireo….e poi, perché tutta quella carta? E perché quella polvere che rende quel posto surreale, ma anche degradato ed abbandonato? Si, qualcosa non torna…ad esempio, in qualche momento, la donna ha la fastidiosa sensazione di non ricordare esattamente il suono del proprio nome…e poi, quello specchio velato, cosa nasconde?

E’ vero, la donna “sente” la presenza dell’artista, ma quell’angelo assume sempre più i contorni non certo consolatori di in giudice.

La Dark Lady, nella sua allucinata ricostruzione, interpreterà anche alcuni pezzi delle Opere e l’uomo la inciterà, visto che lei si considera pari al genio di Shakespeare, a non utilizzare le stesse parole usate dal poeta, ma a modificarle, creando un suo linguaggio, un gramelot di accenti. In questo modo, in certi momenti, ricorderà Giulietta, Porzia, Lady Macbeth e Desdemona. E ogni personaggio sarà appropriato al progredire temporale della storia con il Poeta.

Ma sarà un Sonetto, l’ultimo, dall’incipit profetico “In me tu vedi” a svelarle la vera natura del proprio stato, di quel luogo e la vera identità del suo ospite.

 

Locanda Angelina

[testo | sinossi ]

Liberamente ispirato a “La Locandiera” di Carlo Goldon.

Siamo a Roma, alla metà di Settembre del 1958. Nella “Locanda delle Case” che si trova a via di Capo Le Case, fra i rioni Colonna e Trevi, due avventori si intrattengono in quella che potremmo definire la “rustica reception” della locanda.
Sono il Marchese di Forlimpopoli, e il Conte di Albafiorita.
I due sono diversi in tutto, tranne che per una passione: i Bordelli!

 

Mortal Kabaret

[Presentazione di Giulio Baffi - La Repubblica 13/12/2012]
[Recensione di Giulio Baffi - La Repubblica 15/12/2012]
[Recensione di Giuseppe Giorgio - Il Roma 15/12/2012]
[testo]
[versione francese]

(Liberamente tratto da “Mein Kampf” di Adolf Hitler)

Atto unico in 13 scene per 7 personaggi. Spesso si è “parlato di” Hitler. Spesso si è “scritto di” Hitler. Più raramente è stato lo stesso Hitler, a parlare. Nato dallo studio del “Mein Kampf”, e da commistioni di linguaggi e da continui rimandi a culture “Alte, Medie e Basse”, M. K. Mortal Kabaret, nello scenario di un grottesco show televisivo, mette in scena Hitler, la sua follia più gigionesca che reale, la sua astuzia nel comunicare, nel manipolare il sentimento borghese e nel fare appello alle fragilità delle masse. Volendo parafrasare Goya: “Il disimpegno della Ragione, genera Mostri”

Andato in scena dal 13 al 16 dicembre 2012

 

 

Mr. Frank davanti al mare

[testo]

Carl Liesermann è l’uomo che, per anni, ha lavorato per Frank Sinatra. Carl è stato il testimone di questo tragitto dall’inizio degli anni 50, fino agli albori degli anni 70 allorchè, dinanzi ad uno stravolgimento generazionale e di costume, colui che era stato il più famoso dei Dagos (in gergo, italoamericani da strada), il re del Rat Pack, il conquistatore di folle, dive, di squillo d’alto bordo, di presidenti USA, di padrini e di gangsters, si scopre invecchiato, sorpassato dal tempo e consapevole di essere diventato, suo malgrado, una leggenda, un monumento.

 

Muricena (Macerie)

[testo]

Una Notte di Giugno del 1799 a Napoli. La città è attraversata dalle bande di lazzari. La repubblica napoletana sta esalando il suo ultimo respiro. Ferdinando IV non è ancora rientrato dalla Sicilia. La città è in piena anarchia. Lo stesso cardinale Ruffo, creatore ed animatore dei manipoli di Sanfedisti, spaventato e disgustato dagli incredibili episodi di violenza e di giustizia sommaria, scrive al sovrano chiedendogli di anticipare quanto più possibile il proprio rientro poiché non è assolutamente in grado di controllare la teppaglia la quale, gestita da capi parte della camorra, si abbandona a stragi, saccheggi, cannibalismo. In quest’orgia di violenza resiste ancora, quale ultimo baluardo repubblicano, il bastione dell’ospedale degli Incurabili; proprio da lì riesce a fuggire uno dei pochissimi sopravvissuti, Cristoforo Grossi, medico lucano a Napoli. La notte è pericolosa: bande di lazzari cercano gli “scarusati” (i capelli corti erano uno dei segni distintivi dei giacobini), Cristoforo parte dagli Incurabili, attraversa Largo Donnaregina e sbuca in Via Santa Sofia, una delle traverse di via Carbonara; qui viene intercettato da una banda di Lazzari comandati da Cienzo, un macellaio (o bucciere, o chianchiere, come si diceva) che ha avuto il compito di battere quella zona da uno dei capo parte della camorra detto “ ‘O Cristallaro”. Cristoforo cerca scampo in una delle case di via Santa Sofia…….

continua...

 

Neroluce

[testo]

Due atti per 5 personaggi. Una città qualsiasi, una come la nostra, occidentale e assuefatta ad una realtà virtuale e televisiva, è scossa da una guerra civile. Fra i tanti che cercano scampo nella fuga, ci sono anche due coppie di estrazione borghese. La via prescelta per salvare se stessi e le poche cose che sono riusciti a raccogliere, è il viaggio su di un treno di sfollati che “dovrebbe” condurli, durante la notte, in una zona che “presumibilmente” è ancora sotto il controllo di truppe amiche…… E’ questo l’incipit di “NEROLUCE”, testo che nel 1995 è risultato fra i vincitori del LABORATORIO DI DRAMMATURGIA DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO.

 

Noir lumière

[testo]

Versone francese di Nero luce

 

‘O schiaffo

[testo]

“ ‘O Schiaffo” è un testo teatrale composto negli anni 30 da Vincenzo Vitale che, nascendo sulla scia di una famosa canzone napoletana, venne considerata “sceneggiata”. Si respirava nel testo di Vitale quella genuinità e quella velocità di battuta conservate ed ampliate nella nuova versione riscritta per il teatro Trianon di Napoli. Riscritta interamente nel 2006, la vicenda, narra del contrastato amore fra Ngiulina e Vicenzino messo in pericolo dal cattivo don Raffaele. Ma sarà il padre ritrovato, Don Salvatore Aiello, a rendere possibile le aspirazioni dei due ragazzi.

 

Partitura per un giorno d’estate

[testo]

Una terrazza inondata di luce, sovrastata da un cielo azzurro, domina una veduta marina dello stesso, intensissimo, colore.. E’ questo lo scenario perfetto di una perfetta giornata estiva nel quale si muovono tre “villeggianti”: Alfredo, un Generale in pensione “all’antica”; Matteo, un commerciante “da piazza”, sarcastico e aggressivo e Candida, un’insegnante di musica apparentemente fragile, ma decisa.

Tutto lascerebbe presupporre che quello non possa essere altro che un soggiorno Vacanziero rilassante e, a tratti, un po’ noioso. Ognuno dei tre è in attesa di un evento che dovrebbe verificarsi di lì a breve. Ognuno di loro tre attende un parente, un figlio, un marito, che dovrebbero andarli a prendere per porre fine a quella vacanza. A più riprese viene annunciato l’arrivo di qualcuno.

continua...

 

Precari Sentimentali

[testo]

“Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.

E’ il mantra dei Vincenti che, anche piena crisi economica, riescono a procurarsi opportunità lavorative, finanziarie e sentimentali. Ma certamente non è il mantra dei “Precari Sentimentali”. A questa categoria appartengono i nostri due protagonisti calati, per l’occasione, in una stridente atmosfera natalizia.

Achille è un attore teatrale impegnato e precario, costretto a sbarcare il lunario vendendosi in impresentabili spot pubblicitari.

Ettore è un avvocato, precipitato nella bolgia del Precariato, dopo una disastrosa separazione a cui è seguito un tragico assegno di mantenimento.

La Vincente che collega i due Precari è una donna. Elena, brillante manager, ex moglie di Ettore ed attuale compagna di Achille che proprio in prossimità del Natale è a Parigi per un meeting di lavoro. La donna farà ritorno soltanto il giorno della vigilia.

Continua...

 

Ranavuottoli

[testo]

di ROBERTO RUSSO e BIAGIO MUSELLA

Come appare il mondo visto dalla parte dello specchio? E come appare visto dal basso verso l’alto? Certamente la visuale sarà distorta o, quanto meno, differente da quella ordinaria. E allora, proviamo a capovolgere l’affresco che ci presenta una celebre fiaba, “Cenerentola”, e iniziamo a leggere la storia vista dalla parte non della “vincente” Cinderella, ma da quella delle due sconfitte, Le Sorellastre.

Da qui nasce l’idea di “Ranavuottoli” (le Sorellastre) scritto da Roberto Russo e Biagio Musella. Perché, in fin dei conti, “Ranavuottoli” è una fiaba acida. E’ una Fiaba Nera sulla Diversità. La celebre storia ci presenta le due sorellastre, Anastasia e Genoveffa, come la quintessenza di una cattiveria pari soltanto alla loro bruttezza. In poche parole, brutte dentro e brutte fuori. Ma da dove nasce la Bruttezza? E’ davvero soltanto una questione cromosomica? La Bruttezza, è un destino già segnato?

Il testo, a questi quesiti, dà una risposta secca: non si nasce Brutti, lo si diventa come conseguenza, estensione, prodotto di quanto di Brutto si vive o si è costretti a vivere. E, alla fine, quando la conseguenza del proprio stato diventa del tutto consapevole, la Bruttezza diventa una forma di protesta nei confronti di un mondo che ci pretende belli e vincenti. Essere Brutti, quindi, diventa una forma di reazione, una Resistenza, più o meno, armata.

Bisogna anche dire che Genoveffa e Anastasia sono i prototipi ideali di tale concezione: Genoveffa è tarchiata, pratica delle “cose pratiche” della vita ma è anche totalmente delusa dall’Esistenza. Anastasia è allampanata, sognatrice instabile e pericolosa per se stessa, e per gli altri. Le loro personalità risultano schiacciate da un trauma permanente: il rifiuto subito non solo dal resto dell’Orbe Terracqueo, ma dai loro stessi genitori. Aleggiano su di loro, come Ombre onnipresenti, due figure inquietanti: quella dell’irritante Cenerentola “destinata alla vittoria”, e quella del padre.

Pur essendo un lavoro prevalentemente comico, Ranavuottoli, si addentra nei meandri della psiche dei due personaggi. In particolare scandaglia le motivazioni psicologiche che portano Genoveffa, e soprattutto Anastasia a patire una sorta di “mal di vivere” basato sulla consapevolezza (in parte reale, il parte paranoica) di “non essere”. In questa ultima accezione rientra soprattutto la certezza di “non essere” in alcuna storia e, quindi, relegate ad un ruolo di mere gregarie. Nonostante questo Anastasia nutre una (sana) Speranza di essere finalmente amata che coltiva con (insane) pratiche……

Il linguaggio utilizzato per il lavoro non poteva che essere una sorta di helzapoppin, una miscellanea che fonde accenti fiabeschi, ad altri comico/grotteschi, fino al modernissimo slang con accenni, addirittura, di lirismo.

Genoveffa è Nunzia Schiano.

Anastasia è Biagio Musella.

Sono previsti altri due interpreti, dal vivo, da definire. E una partecipazione speciale in video, sempre da definire.

La Regia è di Lello Serao.

 

Rifiuti

[testo]

Un cumulo di rifiuti domina la scena invadendola con il suo gravoso insieme di pezzi, frammenti di una società occidentale infartuata. L’uomo, seduto in cima, su una specie di scanno, pare dormire in una quiete irreale. La donna che gli si avvicina è gentile, formale, e la rassicurante buona educazione di Loise (questo è il suo nome), fa da contro altare ad un impianto scenico surreale sul quale spiccano due grandi schermi. L’uomo, richiamato dalla donna, si sveglia ed il loro incontro ha l’incedere della commedia acida, secca e nervosa che strappa la risata e che, nello stesso tempo, inquieta. Da quale mondo provengono questo attore, Jacco, dal carattere apparentemente cinico e scontroso e questa donna che pare essersi persa non si sa come e dove? Di quale realtà fanno parte? Lui, a prima vista, sembra un clochard che ha fatto la scelta di vivere al di fuori delle convenzioni…Ma è davvero così? Lei sembra solo un po’ confusa, una borghese un po’ snob ma concreta nel rivendicare le proprie origini e i propri luoghi di elezione…ma è davvero tale? E quelle immagini femminili che, scaturite dal nulla, danzano sulla scena sono lì per ravvivare un ricordo o un tormento comune? Tutte le risposte si trovano nel luogo, nell’identificazione precisa del luogo che scaturirà non solo dalle loro parole ma anche dalle immagini che scorreranno sugli schermi…Quel luogo non è una creazione surreale, è drammaticamente reale, è la Napoli dei nostri giorni. La Napoli insozzata dai rifiuti che l’affogano ma anche dalle mille false promesse, dalle centomila speculazioni, dalle tante Camorre e da un Male culturale che serpeggia dovunque, dal salotto borghese, ai palazzi del Potere, fino ai vicoli bui. Siamo (e lo sveleranno i personaggi nello svolgersi del loro incontro-scontro) in una sorta di Day After: la città è stata abbandonata, nulla più vive, le stesse falde acquifere sono ormai avvelenate e i nostri due personaggi sono gli unici sopravvissuti.

 

Riserva di caccia

[testo]

Tre personaggi chiusi nello spazio claustrofobico di un appartamento borghese in una qualsiasi giornata estiva. Un appartamento che, al di là dell’apparente banalità iniziale si trasformerà in una sorta di antro.

Attilio Grande è il proprietario dell’appartamento e lì vive. Lisa è la sua vicina con la quale intrattiene rapporti burrascosi e polemici. Sorice è il terzo. E’ l’intruso. Capitato in quel condominio per sfuggire ad un’operazione della polizia che sta braccando proprio lui, in quanto autore, solo pochi minuti prima, di una “esecuzione di camorra”, Sorice prende in ostaggio Attilio. Il suo intendimento è di abbandonare la casa non appena le macchina della polizia, che stanno pattugliando la zona, se ne saranno andate. Ma il maldestro intervento di Lisa, perennemente in lotta con il suo vicino di casa per vecchi rancori mai sopiti, induce Sorice a cambiare i propri piani. Resterà lì per la notte tenendo entrambi in ostaggio. Fra il criminale e la donna, inaspettatamente, nasce una complicità che li porterà ad allearsi allo scopo di umiliare Attilio. Grande è un classico topo di biblioteca. Conserva libri come reliquie e, addirittura, sostiene di conoscerne tanti a memoria. In particolare, a più riprese, citerà brani tratti da “Delitto e Castigo” come se contenessero Verità tali da poter spiegare la vita di tutti e in particolare dello stesso Sorice. Il perfido gioco instaurato da Sorice si spingerà fino ad indurre Lisa ad uccidere Attilio ma, improvvisamente, la Riserva di Caccia mostrerà i suoi veri protagonisti e i loro rispettivi ruoli…

Metafora sull’uso borghese della Cultura, “Riserva di Caccia” ha l’incedere del giallo nel quale l’azione ed il Rito assumono un loro ruolo centrale e sorprendente nel finale amaro e visionario.

 

Rossi riflessi sull’acqua

[testo]

Atto unico per 2 personaggi, attore ed attrice. Ispirato al film “Frances”, “Rossi Riflessi”, attraverso la storia di Lilly Mariani è un excursus nell’Italia a cavallo fra le elezioni del 1948 e il 1984, anno della morte di Enrico Berlinguer.

 

Rosso!

[testo]

Stefano Golia aveva un sogno nato sui campetti spelacchiati della provincia sassarese: fare “goal” come Gigi Riva. Durante gli anni di una carriera in crescendo, le ali del sogno iniziano a spiumarsi e a caricarsi di compromessi fino a quel pomeriggio, a quella espulsione immeritata, a quel crudele confronto con il massaggiatore e con il dirigente, a quel piccolo lasso di tempo che và dall’inizio del II tempo alla fine della partita. Il sogno si ravviva proprio quando appare la parodia di se stesso. “ A volte per crescere, per andare avanti, bisogna voltarsi…e tornare indietro”.

 

Silvia ed i suoi colori

[testo | sinossi]

Silvia ed i suoi colori

 

 

 

Dal 9 all'11 maggio 2014, all'Officina Teatro di Caserta

con Francesca Stizzo e Aurelio De Matteis

regia di Agostino Chiummariello

 

 

 

 

 

Smatamorfea

[testo]

“Smatamorfea” è un termine di un napoletano, non più corrente, che si traduce in Metamorfosi o, ancora meglio, in Orrida Trasformazione.

In Smatamorfea c’è l’inusuale rilettura della tragedia di Sofocle, ad opera di due attori, Calcese e Mannese, durante la peste che colpì Napoli, e non solo Napoli, nel 1656.

Il testo si basa proprio sugli eventi dell’epidemia e pone al centro del racconto un personaggio esistito: il medico Giuseppe Bozzuto, e due attori, (inventati, ma non troppo), Calcese e Mannese.

Attraverso delle immaginarie lettere-diario scritte da Bozzuto che, all’Ospedale dell’Annunziata, nel gennaio del 1656, fu il primo a riconoscere i sintomi della peste, si dipana la storia, reale, documentata e basata sugli scritti dell’abate Carlo Celano, di quegli 8 mesi che videro il morbo decimare la popolazione di Napoli per più della metà.

Appaiono evidenti le colpe dell’autorità spagnola, la mancanza di vere e scientifiche informazioni, la totale sottovalutazione del fenomeno. Ma in questa storia c’è anche Napoli ed il suo popolo. C’è la superstizione, ci sono i folli appelli di altrettanto folli preti che chiamarono il popolo a raccolta contribuendo non solo alla diffusione del contagio, ma anche alla sua ulteriore “Smatamorfea” da peste bubbonica, a peste polmonare.

Abbiamo accennato alle cifre. La Peste fece, soltanto a Napoli, 250.000 morti su una popolazione di 400.000 abitanti.

Quale fu la “cosa” che maggiormente latitò in tutta la vicenda? La risposta è semplice: latitò del tutto la Verità.

E quando dico “Verità”, intendo tutte le Verità.

Continua...

 

Tapis roulant (Lo stato del Contagio)

[testo] | presentazione di "Roma - il giornale di Napoli" | Note ]

Ho scritto la prima stesura completa di “Tapis Roulant (Lo stato del Contagio)” fra l’inizio di Marzo, ed il 27 aprile del 2020 durante il periodo di isolamento al quale siamo stati tutti costretti.

Per alcuni giorni, inizialmente almeno, sbigottito e spaventato come molti da una situazione mai vissuta prima, ho evitato di avvicinarmi alla scrittura del testo per evitare che la mia emotività, ed il mio coinvolgimento, trasparissero eccessivamente nei due personaggi e, che quanto stessi per scrivere, sfociasse esclusivamente nella cronaca.

Ho atteso, quindi, per placarmi e per iniziare a vedere le cose con più oggettività, a distanza….

Ecco, “Distanza” è la parola chiave. “Distanza” è il principio che mi ha ispirato e che domina nel testo.

“Distanza”, quindi, come misura precauzionale contro il diffondersi del Contagio che utilizza “ l’altro” ma, “distanza” anche in un senso diverso…

“Distanza”, nel mio scritto, è la situazione perenne, endemica, la Verità collettiva ed impietosa che il Virus ha soltanto evidenziato. “Distanza”, al di là della retorica buonista, dei luoghi comuni consolatori, dei proclami, è fra tutti gli esseri umani. [...]

 

Tarantella

[testo]

“Tarantella” è un atto unico grottesco, surreale e, in molti tratti, comico per due personaggi. Il Generale Manam osserva soddisfatto la piana nella quale si è appena conclusa la battaglia. Le sue truppe hanno vinto e Manam attende sulla collinetta i suoi soldati per poter celebrare il Trionfo che passerà alla Storia e per essere, ovviamente, celebrato quale invitto stratega. Giunge sulla collinetta un solo soldato, lacero, ma impettito, il Soldato numero di matricola 94635 che, a causa delle violente esplosioni non ricorda il proprio nome. La sorpresa sta nel fatto che quel soldato è l’UNICO soldato superstite per entrambi gli eserciti. Insomma: hanno vinto ma sono rimasti in vita solo il Generale ed il Soldato.

 

Tonino – Napoli: zero a zero

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Da più di un anno io ed Agostino Chiummariello lavoravamo a Tonino Napoli, nato come evoluzione di un testo portato in scena dallo stesso Agostino nel 2005. Il lavoro si chiamava "La Colpa". Ma noi avevamo bisogno di qualcosa in più, di una evoluzione, di una Maschera che fissasse i tempi in cui viviamo. "Abbiamo bisogno di una vera follia", mi disse Agostino e la Follia è nata: Tonino Napoli. Ma vediamo chi è Tonino Napoli.

Tonino Napoli ha qualcosa in più di 50 anni. E' di estrazione piccolo borghese, ha frequentato il liceo, ha vissuto gli Anni di Piombo ed è un reduce dalla caduta di tutti gli Ideali e di tutte le Ideologie. La vita lo ha certamente sconfitto. Per una questione caratteriale o di cultura, il nostro Tonino, uomo tutto sommato mite, ha subito tutto ciò che fosse umano subire. Ha subito il capovolgimento di ogni valore.

A lui, figlio degli anni 70, avevano insegnato che la Parola, il Confronto, fossero tutto. Si ritrova dopo molti anni a vivere l'Epoca dell'Immagine vuota ed esteticamente ineccepibile.

Lui, che credeva o che, quanto meno, aveva assistito alla Tempesta del Politico, del Collettivo, si ritrova oggi ad assistere allo svuotamento del Collettivo a favore dei cosiddetti "cazzi propri" (Ebbene si, con gli anni e con la crescente incazzatura, Tonino, è diventato anche volgarotto).

Per retaggio familiare e culturale era convinto che l'Onestà fosse un valore. Invece oggi vede trionfare la Filosofia del Successo a tutti i costi e costi quel che costi nel quale si insegna che è la Furbizia (l'essere "sfaccimma") ad essere il primo Valore.

Credeva nelle regole? Oggi l'unica regola è fottere gli altri.

Credeva nella solidarietà? Oggi domina l'assoluto piacere di e per se stessi.

Credeva nell'Amore? Con gli anni ha scoperto l'Interesse che si traveste d'Amore ed i svariati casini di suoi coetanei che cambiano idea nel breve volgere di 24, 48 ore. Nessun punto di riferimento, insomma, nè nella vita pubblica, nè in quella privata. Tonino, come tanti, è un naufrago che si aggrappa al primo relitto che passa dalle proprie parti.

E' solo una vittima il nostro Tonino Napoli? Probabilmente, no. Non è solo una vittima. E' uno che si è lasciato andare e che non ha tenuto vivi, negli anni, i suoi valori e le sue idee abbandonandosi, come molti, all'Arraffa Arraffa e al Si salvi chi può.

E poi, Tonino, per completare il nostro profilo, non vive in una città qualsiasi. Vive a Napoli, la città seicentescaper antonomasia, nella quale convivono, come sempre, aspetti contraddittori tesi fra la commedia e la tragedia. E Tonino è sospeso proprio su quel filo. fra commedia e tragedia, e su quel filo procede con difficoltà, ogni tanto inciampa, sta per cadere, si rialza, e ogni sua movenza è goffa, induce al sorriso e molto più spesso, alla risata grassa. Tonino si è talmente svestito dai suoi panni individuali, da essere diventato una vera e propria MASCHERA. Un Pulcinella, un Arlecchino. Un Simbolo, suo malgrado, del Naufragio dei nostri giorni. Tonino è personaggio tragico, a tal punto, da sfociare nel COMICO GROTTESCO. E' un personaggio alla Fantozzi, pare una figura di Gogol, tragicamente COMICA, assolutamente deformata. Anche le sue espressioni che, forse, in gioventù, dovevano essere, se non forbite, quanto meno un pò ricercate, sono diventate grossolane, urlate, comicamente popolari e lazzaresche. Oggi Tonino non ha più alcun alveo ideologico. Oggi, Tonino, è un anarchico ma nel senso più qualunquista del termine. Urla, invoca una totale Distruzione per se stesso e per chi gli sta intorno. Non sopporta più alcuna autorità, alcuna retorica (per quanto buona, spirituale e rassicurante possa essere), anzi, irride se stesso, gli altri e tutto il Fallimento e le Macerie che vede attorno a lui. Tonino Napoli è diventato una Maschera Nichilista, più cinico del Cinico Policenella Cetrulo, e adesso, urla dal proprio terrazzo non come una Voce che declama nel Deserto, ma come un Dannato che inquadra la propria vita sprecata. Questi sentimenti si sarebbero potuti esprimere in vari modi. Attraverso il Dramma, attraverso la Tragedia generazionale. Io ho scelto il Comico. Una Comicità acida, violenta, estrema, a tratti volgare e molto esplicita. Una Comicità che dileggia tutto e tutti. Una Comicità che non ha rispetto per niente e per nessuno, nemmeno per se stessi. Non è un caso che all'interno dello spettacolo abbiamo inserito anche una canzone "Meravigliosa Città" cantata dal bravissimo Antoine, che è di una violenza inaudita (pur essendo una straordinaria canzone con una musica , composta da Antoine, e un arrangiamento davvero di ottimo livello).

Tonino Napoli è una Bomba Atomica impietosa e, per assurdo, COMICISSIMA, che non risparmia nessuno.

Vi posso assicurare, e non perchè ne sono l'autore, che si ride e anche tanto. così come si può ridere nel vedere, semmai in un vecchio film muto, esplodere un vulcano sotto al culo di ignari campeggiatori che stavano facendo un picnic.

Locandina Tonino-Napoli

 

 

Andato in scena dal 24 al 26 Gennaio 2014,

al Nuovo Teatro Sanità

 

Con Agostino Chiummariello e Vittorio Cataldi

regia di Agostino Chiummariello

 

Tutto di un cretino - versione donna/uomo

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Signore e Signori! Memè. la produttrice di fiction, metterà all’Asta se stessa, anima e corpo, solo in cambio di quanto vi troverete in tasca al momento dello spettacolo! Attenzione! Per il Fortunato Compratore, quale premio aggiuntivo, vi sarà la possibilità di essere inserito nel cast della fiction di prossima produzione “Il Mercante della Venezia del Nord”! Un’occasione imperdibile!
Potrete acquistare tutto l’Amore ed i Sentimenti Disinteressati che avete sempre sognato di ispirare negli altri!
Pensate di valere molto? E allora, mettetevi all’Asta! Fra i partecipanti al Pubblico Incanto si segnala la presenza di Dimitru, immigrato rumeno, colpito da improvvisa e sensazionale Fortuna!
Partecipate! L’Asta è liberamente ispirata a “La Legge del più forte” di Rainer Fassbinder!

…E alla fine potrete dire di sapere tutto, ma davvero TUTTO DI UN CRETINO!

 

Tutto di un cretino - versione uomo/uomo

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"Signore e Signori! Max. il produttore di fiction metterà all’Asta se stesso, anima e corpo, solo in cambio di quanto vi troverete in tasca al momento dello spettacolo! Attenzione! Per il Fortunato Compratore, quale premio aggiuntivo, vi sarà la possibilità di essere inserito nel cast della fiction di prossima produzione “Il Mercante della Venezia del Nord”! Un’occasione impedibile!

Potrete acquistare tutto l’Amore ed i Sentimenti Disinteressati che avete sempre sognato di ispirare negli altri!

Pensate di valere molto? E allora, mettetevi all’Asta! Fra i partecipanti al Pubblico Incanto si segnala la presenza di Dimitru, immigrato rumeno colpito da improvvisa e sensazionale Fortuna!

Partecipate! L’Asta è liberamente ispirata a “La Legge del più forte” di Rainer Fassbinder!

…E alla fine potrete dire di sapere tutto, ma davvero TUTTO DI UN CRETINO!

 

Virginie incoronata

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Il monologo è incentrato sulla figura di Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, e parte da una ucronìa, un evento storico mai accaduto, ma plausibile.

Ho immaginato che la Oldoini (morta nel 1899, a 62 anni, a Parigi) una notte di quello stesso anno si ritrovasse in Italia, a Roma, proprio ai piedi di quel monumento, il Vittoriano, che era già in costruzione da 14 anni (1885) e che, completato soltanto negli anni ’20, sarà da tutti conosciuto come “Altare della Patria”.

La Oldoini è proprio lì, vicino al simbolo dell’Italianità e del Risorgimento, sul quale svetterà il monumento equestre a Vittorio Emanuele. La donna è esattamente quella Contessa di Castiglione al tramonto, della quale parlarono le cronache dei giornali parigini: invecchiata, svanita, solitaria. Si racconta che la contessa, in questa sua ultima fase, fosse solita velare tutti gli specchi della propria casa per non riconoscere i segni inequivocabili del proprio declino, e che uscisse a mezzanotte, intabarrata in veli e scialli, in compagnia di 2 cani, ed armata di un bastone da passeggio che nascondeva una lunga lama.

Virginia, non a caso, si ritrova nel monologo a Roma. E, non a caso, proprio nei pressi dell’Altare della Patria. Lei è lì per pronunciare, davanti al popolo Italiano, il proprio discorso di Incoronazione, quello che anni prima avrebbe meritato di pronunciare, e per svelare ai propri “figli” in ascolto, a noi tutti, la vera Storia dalla quale è nata l’Italia unita. Virginia, inoltre, ha in serbo un dono per tutto il Popolo Italiano. Un tesoro inestimabile.

Attraverso la sua vicenda di donna bellissima, paragonata alla Venere di Botticelli o, come venne definita, di “Meravigliosa Statua di Carne” dedita all’Arte dell’Amore, Virginia farà luce sul marchingegno di Cavour che la condusse a sedurre Napoleone III, conquistandolo alla Causa Italiana dando così l’avvio alla fondamentale alleanza che fece, del piccolo Piemonte, il centro motore per l’annessione del resto d’Italia. Scoprirà le piccinerie di un periodo Risorgimentale, travisato e gonfiato della retorica della Storia Ufficiale, dal quale è scaturito soltanto un fulgido esempio di eroismo e patriottismo: il Suo che, per il Popolo Italiano, ha dovuto rinunciare alle 7 Virtù (Teologali e Cardinali) spogliandosi dei 7 veli proprio come Salomè che si immolò per difendere l’onore di sua madre, Erodiade.

Lei è la sola Eroina che, per la nascita della Nazione, non ha provocato morti, come invece avvenne con conflitti inutili o disastrosi, ma che ha donato gioia e seduzione.

Oltre al passaggio storico, verrà in luce la donna indipendente, senza mezze misure, colta, e proiettata nel futuro. Una donna che, con il culto della propria Immagine, immortalata in centinaia di scatti dal fotografo parigino Pierson, è vicina a noi, ai nostri tempi degli imagine makers e degli influencers.

La Oldoini, e qui sta la scoperta storica che è perfettamente in linea con il monologo, decise volontariamente di lasciarsi andare e di vivere da emarginata piena di livore verso l’irriconoscenza dell’Italia ufficiale che, non solo non ne aveva riconosciuto e celebrato l’apporto decisivo all’Unità, ma che ha sempre cercato di sminuirne peso e valore. Quindi il volontario tramonto della Contessa è stato un dispetto rivolto a quanti non ne hanno voluto riconoscere il valore; una sorta di auto distruzione capace, secondo le intenzioni della donna, di perpetuare nell’Italia, un perenne senso di colpa.

Personaggio complesso, dunque, che nel finale del monologo rivendicherà il suo posto proprio su quell’Altare, come Madre della Patria, molto più meritevole del rozzo Vittorio Emanuele che troneggerà dal cavallo. Ma soprattutto svelerà il Tesoro che lascia in eredità all’Italia: due Domande fondamentali...

Approfondendo la questione è stato sorprendente scoprire che quelle di Virginia, in realtà, non fossero delle paranoie. La Oldoini era davvero considerata un personaggio scomodo. Basti pensare che alla sua morte i servizi segreti italiani e francesi, si precipitarono nella piccola abitazione nella quale si era ridotta, per rinvenire, e sequestrare, carteggi e corrispondenze compromettenti per molti potenti e dinastie dell’epoca (fra i quali Vittorio Emanuele, Napoleone III e Bismark).

Umberto I di Savoia re, al momento della morte della Oldoini, diede disposizione all’ambasciatore italiano di presenziare alle esequie, ma di non riportare la salma in Italia. Chiaro segnale del disagio dei Savoia verso una figura che, una volta usata, andava destinata all’oblio.

“Virginie Incoronata” (nel titolo il nome della Oldoini è scritto non a caso in francese) ricorda la figura di Virginia Oldoini e, attraverso le sue parole scandalose, lancia un “gatto morto” fra i piedi della Storia Ufficiale e della pomposa retorica risorgimentale e nazionalista.

 

Virus

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Un uomo è alle prese con un computer. E’ un portatile. Lui è un tecnico chiamato dal padrone di casa a risolvere un problema di intasamento del pc. Il tecnico, sotto gli occhi del distinto e affabile padrone di casa evidenzia l’esistenza di numerosi virus che impediscono il corretto funzionamento del pc.In particolare, non senza imbarazzo iniziale da parte sua, ma non del padrone di casa, si trova di fronte ad una serie di “scorie”, “Troian” che sono giunti sul pc attraverso la costante frequentazione di siti chat per incontri. Ci sono anche file inviati che hanno infiltrato nel computer elementi di disturbo. Il Dottore narrerà delle sofisticate tecniche di abbordaggio virtuale che si sostanziano in un vero e proprio vademecum della seduzione. Il tecnico è un uomo semplice e pare entusiasmarsi al cospetto di queste narrazioni (che potrebbero essere anche supportate da interventi filmati riguardanti alcuni personaggi). Tra i due, che si incontrano per la prima volta, pare però instaurarsi un rapporto già conosciuto, già vissuto, nel quale il secondo (il tecnico) fa da supporto, da consigliere e anche da moderatore del primo (il Dottore). Per il Dottore la vera seduzione non consiste nel sedurre il corpo delle sue vittime ma che giungano a rinunciare a quanto hanno di più caro. E’ un appropriarsi, quindi, di tutto il loro essere, della loro anima. Il tecnico chiede ancora lumi. Chi è il Dottore? Un sadico? E quale sarebbe il godimento nell’ottenere tutto ciò? Il Potere, è la risposta. La web cam si aziona e appare il volto di un uomo. E’ un uomo disperato e violentemente aggressivo. Il Dottore risponde con grande no chalence e la storia che si evidenzia è questa: anche questo uomo è stata affascinato da questo serial killer della chat a tal punto da sacrificare buona parte dei suoi averi e, alla fine, è giunto a far prostituire la figlia pur di procurarsi denaro che ha trasferito al Dottore che, come ha fatto anche con le precedenti vittime, lo ha sedotto e abbandonato e lui è giunto fino allo stremo… L’uomo gli chiede un ultimo appuntamento e, con sorpresa del tecnico, il Dottore accetta e gli fissa l’appuntamento di lì a poco, a casa sua, per cena. Il tecnico vorrebbe andarsene ma il Dottore insiste e gli chiede, visto che ha mostrato tanto interesse per le sue tecniche, di rimanere. Vedrà dal vivo cosa significa esercitare il Potere sugli altri, vedrà cosa significa il Potere della seduzione, capace di quietare anche delle belve.

Giunge l’uomo della chat e il Dottore apertamente lo sfida. Non gli restituirà nulla di quanto gli è stato dato. L’uomo della web appare calmo, silenzioso, ascolta le argomentazioni del Dottore, gli inviti alla moderazione del tecnico che ribadisce di essere lì per puro caso. E, alla fine, l’uomo svela la sua vera storia e la sua fine, nonché il vero essere anche dei due che ha di fronte: lui è morto suicida e coloro che ha di fronte sotto altre spoglie non sono altri che Don Giovanni e Leporello e chiede ancora una volta a Don Giovanni di pentirsi. Come se il disvelamento dell’uomo, che altri non è che il Commendatore, avesse scatenato e reso ora visibile una realtà che si celava sotto altre spoglie, sia Don Giovanni che Leporello assumono i loro reali contorni. Don Giovanni rivendica la sua attualità in ogni epoca e soprattutto in quella attuale, Leporello, spaventato dal fatto di avere a che fare con un morto (l’uomo che si è invitato a cena) cerca di convincere il proprio padrone a pentirsi ma Don Giovanni rifiuta e chiede una condanna. L’inferno.

Ma il Commendatore non emette alcuna condanna perché la vera condanna è trovarsi per sempre lì dove già si trova. In un normale appartamento, in un giorno qualsiasi, ai nostri giorni, a vivere la squallida esistenza di chi immagina di essere un genio del Male quando, invece, è solo la caricatura di se stesso, un piccolo essere che durante tanti secoli non ha imparato né mai saprà amare convinto, illusoriamente, di esercitare un potere quando, in realtà, cerca solo di dare voce alla propria impotenza e al proprio disagio. Resterà vivo, da solo e per sempre: quello è l’Inferno.

L’uomo va via e i due, Don Giovanni e Leporello, come se con l’uscita dell’uomo si fosse interrotto l’incantesimo, tornano ciò che erano all’inizio: un tecnico del pc e un Dottore malato della chat.

Confuso, senza nemmeno commentare ciò che è accaduto, il tecnico si accomiata dopo essersi fatto pagare l’intervento e va via lasciando solo un uomo che viene sovrastato dalle voci caotiche e dalle accuse delle proprie vittime.

 

Visite fuori orario

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Due atti per due personaggi.

Un ufficio pubblico, uno dei tanti. Uno di quelli, nei quali ci si reca malvolentieri per necessità e, dai quali, non si vede l’ora di partire. Un ufficio composto da mura grigie, o da pannelli scoloriti e da linoleum dalla tinta incerta. Eppure in questi uffici vivono persone, e non per qualche giorno o per qualche mese. In questi uffici passa la vita che, ogni giorno, per tutti gli anni, si presenta sempre uguale a se stessa. La vita in ufficio è spesso presentata in maniera comica o grottesca (le beghe fra colleghi, i pettegolezzi, i tic), ma la forzata convivenza, il dover sopravvivere in uno spazio sempre identico che, a differenza di casa propria, non ci rappresenta; l’interscambiabilità dell’elemento umano e, nello stesso tempo, la ripetitività e l’immortalità delle cose, costituiscono il dramma sul quale si dipana “Visite fuori Orario”. Spesso, in questi uffici, capita di scorgere suppellettili abbandonate (sedie, elementi di mobili, macchine da scrivere). Questi oggetti, dei quali si ignora, ormai, l’origine e lo stesso uso, restano per decenni sullo stesso mobile e rappresentano, nella loro immobilità, fatta di polvere e ragnatele, la vera metafora della vita eterna. Trascorrono gli anni, gli impiegati si avvicendano, ognuno si illude di ricreare un minimo di ambiente personalizzato (una pianta, un quadretto), e poi, con la pensione, o con un semplice cambio di stanza, tutto l’elemento umano precedente è spazzato via. La sola cosa che resta, costante, sono queste suppellettili che nessuno ha rimosso, testimoni muti di altri tempi, dimenticati, e di altra umanità della quale nessuno ricorda neppure il nome.

L’uomo che ha per orizzonte sempre lo stesso orizzonte, la stessa veduta, dalla stessa finestra; che varca sempre la stessa soglia, che fa gli stessi gesti, per anni, per sempre. E’ il rapporto fra l’uomo e la stanza, suo nido, sua tana. Ognuno reca con sé le proprie speranze e le proprie ambizioni, e, inizialmente, pare che la stanza faccia fatica a contenerle tutte. Ma lentamente, anche le speranze, si conformano all’ambiente chiuso, si fanno restringere, incubare, soffocare, fino a spegnersi. In questo ambiente vive Lofino, il protagonista del dramma. L’uomo è un archivista di un ufficio tributario. Conosce il suo lavoro, le sue regole, e conosce solo questo. Si è adeguato alla sua stanza fino a farne la sua tana. La sua vita è quella. La vita degli altri gli viene filtrata dalle carte, fra le quali, quotidianamente, è immerso. E’ come se fosse in parcheggio da 35 anni ed è tale, ormai, l’abitudine a quelle quattro mura, e il distacco dall’esterno, che il parcheggio è divenuto residenza perpetua. Lofino si è abituato a ragionare per quelle e in quelle mura. Ma un giorno, durante un rientro pomeridiano, riceve la visita , per motivi di lavoro, di una brillante praticante di uno studio legale: Emma Goscè. Lofino passerà dal solito atteggiamento impiegatizio all’apparire di una donna (galante, un po’ ammiccante e, nello stesso tempo, arrogante, tale da dimostrare la sicurezza da “uomo”) ad un inaspettato spogliarsi delle solite vesti. L’uomo e la donna, ognuno per strade e con modalità diverse, hanno la consapevolezza della propria sconfitta e soprattutto l’uomo, sotto quella polvere di anni e di noia cela, in sé, una personalità repressa e aggressiva, l’anima malata e disperata di un essere che ha visto la propria vita scorrere e avviarsi alla fine, come uno spettatore assiste al film nel quale non è coinvolto. Per qualche istante, però, Lofino avrà il coraggio di mostrare quest’anima violenta e imputridita, ma viva.

“Visite fuori Orario”, è stato Segnalato in vari premi:
nel ’97 al “Premio Flaiano”,
nello stesso anno al “Premio Maschera d’argento"- Rosso di San Secondo;
sempre nel ’97 è stato Finalista del Fondi – La Pastora.
Nel ’99 è stato Selezionato dall’OUTIS, Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea, e proposto nella forma di lettura scenica al Teatro dei Filodrammatici di Milano per la regia di Claudio Beccari.
Nel 2005 è stato segnalato come Dramma del mese, per il mese di Marzo, nel sito di drammaturgia contemporanea www dramma.it

 

William non era Shakespeare

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Lo spettacolo, per un solo attore, è strutturato come una lezione/indagine che, partendo dalle poche, frammentarie notizie biografiche sull’uomo di Stratford, e mettendo in evidenza la discrepanza fra queste, e l’imponente base culturale delle Fonti alle quali le Opere attingono, sfocia nell’analisi dell’unico documento certo, e da tutti riconosciuto: la prefazione al libro “Groatsworth” di Robert Greene del 1592 che, per la prima volta, identificherebbe colui che chiamiamo “William Shakespeare”.

L’incedere dello spettacolo è quello di una indagine nella quale elementi, riferimenti, e colpi di scena, documentati anch’essi, svelano, con una progressione narrativa “da giallo” un diverso, duplice, scenario.

Il primo è che, al di là di ogni ragionevole dubbio, ragionevolmente e logicamente, William di Stratford on Avon potrebbe non essere l’autore delle Opere.

Il secondo, correlato al primo, è che le stesse potrebbero essere scaturite dal sodalizio artistico ed economico fra l’enciclopedico inglese, di origini italiane, John Florio e l’attore e regista (ante litteram) William (Shakspere o Shagspere come venne annotato dall’ufficiale dell’Anagrafe di Stratford nell’atto di nascita).

La ragione dell’indagine su uno dei grandi misteri della letteratura mondiale di ogni tempo, ha finalità profonde e non datate.

Il primo scopo, immediato, è didattico e rende l’analisi fruibile anche da parte di una vasta platea di studenti e studiosi poiché si basa su recenti, ed accurati approfondimenti svolti da diversi saggisti e scrittori.

Accanto a tale finalità ne esiste un’altra, etica e, nello stesso tempo, storica perché, mediante il metodo logico-scientifico adottato, si mettono in rilievo tutte le lacune di una Versione Ufficiale che, dogmaticamente, si è accreditata come Verità Unica e che, invece, va messa in discussione spogliandola da grottesche intenzioni pseudo-religiose. Intenzioni che, eludendo la questione shakespeariana, approdano ad altrettanto grottesche professioni di Fede rispetto alle quali, ogni dubbio, o analisi contraria, vengono frettolosamente etichettate come “sciocchezze” per di più, blasfeme.